Il fronte Polisario nel Sahara occidentale

Diego Remaggi
19 min readDec 28, 2022

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Il Sahara occidentale è un territorio dell’Africa nord-occidentale esteso 266 mila km2 (cioè l’88 per cento della superficie dell’Italia), che si affaccia sull’Oceano Atlantico e comprende un vasto entroterra quasi interamente desertico, con ampie aree di superfici rocciose o sabbiose.

A livello politico, il Sahara occidentale è attualmente il più grande territorio non autonomo del mondo, la sua estremità atlantica, situata al confine tra Marocco (un confine di 443 km.), Mauritania (1.561 km. di confine) e Algeria (42 km. di confine), rappresenta un vasto territorio, ricco di fosfati, probabilmente petrolio/gas, uranio e titanio, mentre lungo la costa atlantica (di oltre 1.000 km.) si pratica la pesca estensiva.

La popolazione saharawi, frutto dell’unione tra popolazioni locali di lingua berbera e tribù arabe giunte verso il XIII secolo, di fede musulmana sunnita, di lingua araba, cultura tribale beduina e dedita alla pastorizia-nomade, in base alle stime delle Nazioni Unite è oggi di oltre 500 mila persone.

I saharawi vivono divisi, in parte (30 per cento) nei campi di rifugiati in Algeria e in parte (70 per cento) nel Sahara occidentale sotto il dominio del Marocco, in una zona delimitata da un unico muro (bern), lungo 2.250 km., costruito dalle autorità marocchine tra il 1981 e il 1997, che attraversa e divide il Paese da nord a sud, separando le zone più vaste (i due terzi del territorio) ed economicamente più importanti a occidente, occupate dal Marocco, da quelle sotto il controllo del Frente popular de liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro (Polisario) nella parte orientale.

All’indomani dell’indipendenza del Marocco e della fine del protettorato francese (1956), la Spagna — presente anch’essa in quella parte di Africa — non abbandonò le due piccole enclave di Ceuta e Melilla sulla costa nord del Marocco, né la colonia del Sahara occidentale in cui, pochi anni prima, erano stati scoperti ingenti giacimento di fosfati.

Il popolo saharawi, mobilitatosi contro l’occupazione coloniale, nel novembre 1957 lanciò un attacco alla città portuale presidiata dalle truppe spagnole, attuale Tarfaya, sulla costa atlantica, quasi di fronte alle isole Canarie. Nel 1958 la Spagna sconfisse l’insurrezione saharawi, alleandosi per l’occasione con la Francia e con le forze armate del sultano Mohammed V del Marocco, che successivamente, per la prima volta, rivendicò il Sahara come marocchino.

Il decennio della decolonizzazione in Africa si inaugurò, nel 1960, con una risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU che sancì il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione, in virtù del quale essi determinano liberamente il proprio status politico e perseguono liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale. La Spagna, dando priorità ad altri territori coloniali come le isole Canarie, acconsentì a che il Sahara occidentale fosse incluso nei territori interessati da quella risoluzione, preparandosi a riconoscere il diritto del popolo saharawi all’autodeterminazione.

Nel 1965–66 furono approvate due risoluzioni specifiche dell’ONU che ribadirono il diritto del popolo saharawi a decidere con referendum se creare il proprio Stato o unirsi ad uno Stato esistente. La Spagna non si oppose a questa soluzione, prospettando la necessità di realizzare prima un censimento della popolazione nella regione. Tutto ciò contribuì a rafforzare le ambizioni indipendentiste del popolo saharawi e, all’inizio del 1967, si costituì il Movimento di Liberazione del Saguia el-Hamra e del Rio de Oro, primo movimento nazionalista saharawi a rivendicare l’indipendenza. All’inizio degli anni Settanta, il movimento indipendentista si trovò ad agire allo stesso tempo contro l’occupazione spagnola e le rivendicazioni territoriali del Marocco. Dopo la repressione sanguinosa da parte spagnola di una manifestazione pacifica organizzata a Zemla (17 giugno 1970) il movimento saharawi prese la decisione di andare oltre la forma pacifica della resistenza e, nel 1973, nacque il Polisario.

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Sahara Occidental

Nel 1974, la Spagna, completato il censimento della popolazione del Sahara occidentale — che aveva registrato la presenza di 74.902 persone — si dichiarò pronta a effettuare il referendum di autodeterminazione del popolo sahrawi.

Il Marocco, però, espresse la sua netta opposizione alla decisione della Spagna di indire il referendum in ossequio alle Risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU e chiese che si riconoscesse l’esistenza di una controversia giudiziaria sul Sahara, che coinvolgeva anche la Mauritania. Nonostante la Spagna avesse ribadito che il Sahara occidentale era sempre stato sotto il suo controllo, negando l’esistenza di una controversia, l’Assemblea generale dell’ONU approvò, pur con molte astensioni, una risoluzione 3 che deferiva la questione alla Corte internazionale di giustizia, chiedendo un parere se il Sahara occidentale fosse stato un terra nullius — cioè una terra abitata da persone senza organizzazione sociale o politica — al momento della sua occupazione da parte della Spagna e, nel caso in cui ciò non fosse stato, quali legami giuridici esistessero tra il Sahara occidentale, il Marocco e la Mauritania.

La Corte internazionale di giustizia espresse un parere consultivo il 16 ottobre 1975, affermando che il Sahara occidentale non era una terra nullius nel XIX secolo, anche se non aveva nulla in comune con il concetto di sovranità come concepita nella cultura politica occidentale. L’area era abitata da un popolo prevalentemente nomade, diviso politicamente e socialmente in tribù guidate da capi riconosciuti come rappresentanti legittimi, che tra l’altro firmarono il trattato di protettorato del 1884 con la Spagna che degenerò presto in dominazione coloniale. La Corte escluse qualsiasi forma di sovranità territoriale sul Sahara occidentale da parte del Marocco o della Mauritania. Inoltre, il giudizio fu rafforzato dalla visita nello stesso anno di una missione dell’ONU, che concluse che c’era un consenso schiacciante tra la popolazione saharawi a favore dell’indipendenza nazionale e contro l’integrazione con qualsiasi stato confinante.

Il giorno della pubblicazione del parere della Corte, che sembrava potesse fare definitivamente chiarezza, la reazione marocchina non si fece attendere: il re Hassan II fece sfilare una marcia di “volontari” marocchini per prendere il controllo di ciò che chiamò le “province marocchine del Sahara”. La cosiddetta Marcia Verde, ribattezzata Marcia Nera dal popolo saharawi, iniziò il 6 novembre 1975, con 350 mila marocchini che entrarono nella zona da nord-ovest senza incontrare alcuna resistenza da parte della Spagna e fu subito imposto il coprifuoco su tutto il Sahara occidentale. La Spagna si rivolse al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, chiedendo la convocazione di una riunione per condannare l’iniziativa del Marocco come minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.

Si può considerare quel momento decisivo del 1975 come punto di svolta e dimostrazione di una incapacità dei Paesi leader a livello globale di gestire e orientare gli sviluppi anzitutto a favore della pace e della tutela dei diritti delle popolazioni. Il Consiglio di Sicurezza decise di condannare la Marcia Verde, ma senza fare alcun riferimento a violazioni delle frontiere internazionali, sollecitando semplicemente le parti coinvolte a trovare una soluzione.

Il 14 novembre 1975, Spagna, Marocco e Mauritania firmarono gli Accordi di Madrid, in base ai quali la Spagna — alla prese con la fine del franchismo — decise di abbandonare il Sahara occidentale lasciando, di fatto, la contesa in mano a Marocco, Mauritania e Polisario: la clausola principale dell’accordo, infatti, fu quella di dividere il territorio tra il Marocco e la Mauritania, mentre la Spagna si garantiva il 35 per cento delle miniere di fosfato e diritti di pesca nelle acque per dieci anni. Subito Marocco e Mauritania aumentarono i dispiegamenti di forze armate nell’area.

Dagli eventi del 1975, i principali attori in campo, rimasti a confrontarsi ininterrottamente anche sul piano militare, furono il Polisario e il Marocco. Ma molti altri attori internazionali sono stati parti attive o importanti nel conflitto.

La presenza militare marocchina indusse immediatamente migliaia di saharawi a rifugiarsi in territorio algerino, mentre la resistenza armata del Polisario portò, il 27 febbraio 1976, alla proclamazione della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD). Il conflitto aperto che coinvolgeva il Polisario, appoggiato da Libia e Algeria (che ospitava, tra l’altro, la sede del Polisario, installata a Tindouf), obbligò la Mauritania — scossa da un colpo di Stato e in gravi difficoltà economiche — a ritirarsi dal Sahara occidentale nel 1979, firmando un accordo per riconoscere la RASD come lo Stato legittimo del popolo del Sahara occidentale. Nel 1984 la RASD fu ammessa come Stato membro dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) — e, al lancio dell’Unione Africana (UA) nel luglio 2002, la RASD fu eletta vicepresidente della nuova organizzazione — per poi essere riconosciuta da 76 Paesi nel mondo, mentre il Marocco, che non riconobbe l’accordo del 1979 e occupò l’area liberata dalla Mauritania, si ritirò dall’organizzazione panafricana per protesta.

Per quanto riguarda il popolo saharawi, pur avendo dimostrato la capacità di una forte resistenza all’occupazione, tuttavia si dimostrò molto più propenso ad adottare soluzioni pacifiche, preferendo l’azione non violenta e la mediazione internazionale alla lotta armata, rispettando le risoluzioni dell’ONU, impegnandosi a sopravvivere nel deserto e a creare una società funzionale.

Solo nel settembre 1990, dopo anni di conflitto aperto, a seguito della proposta dell’ONU/OUA di un cessate il fuoco seguito da un referendum di autodeterminazione accettato dal Marocco e dal Polisario e all’indomani di un primo incontro tra il Polisario e il re Hassan II, il Marocco firmò un cessate il fuoco.

Nel 1991 una missione delle Nazioni Unite (Mission des Nations Unies pour l’Organisation d’un Référendum au Sahara Occidental, MINURSO), con alcune centinaia di osservatori militari e in minima parte civili, fu stabilita nel Sahara occidentale per supervisionare l’attuazione del piano di pace, definito Settlement Plan, comprendente la fase transitoria e la preparazione e gestione del referendum in cui il popolo saharawi avrebbe dovuto scegliere tra l’indipendenza sostenuta dal Polisario e l’annessione al Marocco. ::La missione MINURSO che, nelle intenzioni, si sarebbe dovuta concludere entro l’estate del 1992, rimase presto impantanata nei contrasti tra le parti, con il Marocco che portava avanti una politica di insediamento nell’area di cittadini marocchini per cercare di sovvertire l’esito del previsto referendum::, complicando il processo di identificazione dei cittadini idonei a votare. ::Trenta anni dopo, i campi base della Missione ONU sono ancora presenti, a testimoniare lo stallo della situazione e i colpevoli ritardi accumulatisi.::

Nel 1993, l’allora Segretario generale dell’ONU, Boutros Ghali, avanzò una proposta di “compromesso” che fu accettata senza riserve dal Marocco, ma condizionatamente dal Fronte Polisario, perché le liste elettorali risultavano gonfiate con la presenza di circa 60 mila cittadini marocchini che vivevano nell’area, ma non erano saharawi. Il processo di pace era paralizzato. Nel febbraio 2000, poco dopo la salita al trono di Mohammed VI, attuale re del Marocco, l’allora segretario generale dell’ONU Kofi Annan parlò apertamente per la prima volta della necessità di una soluzione politica per risolvere la controversia sul Sahara occidentale attraverso colloqui diretti tra il Marocco e il Polisario. È da quel momento che l’approccio dei negoziati politici come alternativa al referendum si fissò nella strategia dell’ONU come soluzione percorribile, alternativa al referendum, per una questione ormai in stallo.

Al contempo, si sostanziava un problema di mancata applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli, richiamato come valore fondamentale dalle risoluzioni adottate, fino ad essere considerato da taluni studiosi diritto inderogabile (ius cogens), che cioè non dovrebbe essere in alcun modo derogato dagli Stati.

I quasi dieci anni di James Baker (già Segretario di Stato nell’amministrazione Bush) con l’incarico, assunto nel 1997, di inviato speciale dell’ONU per il Sahara occidentale produssero un accordo quadro nel 2001, respinto inizialmente dal Polisario ma poi più nettamente dal Marocco, e un successivo accordo nel 2003, respinto dal Marocco, che rifiutò espressamente l’indipendenza come opzione.

La questione sembrava finita in un vicolo cieco, con un presidio dell’ONU, la missione MINURSO, incagliato senza prospettive, mentre il Consiglio di sicurezza non fece più riferimento ad accordi quadro, limitandosi ad invitare le parti e gli Stati della regione a continuare a cooperare pienamente con l’ONU per porre fine allo stallo e andare verso una soluzione politica.

Al riguardo, alcuni osservatori hanno successivamente criticato il mandato vecchio stile di MINURSO, eccezionalmente privo di una componente focalizzata sui diritti umani, a differenza della maggior parte delle operazioni di operazioni di pace dell’ONU dell’era post-Guerra Fredda, alla luce delle numerose violazioni perpetrate ai danni della popolazione saharawi. Nel 2007 la Risoluzione 1754 del Consiglio di Sicurezza fissò la linea di base adottata da quel momento in avanti dall’ONU per cercare una soluzione politica, chiedendo al Marocco di avanzare proposte “serie e credibili” e alle parti di negoziare senza precondizioni al fine di raggiungere una soluzione politica giusta, duratura e reciprocamente accettabile, che prevedesse l’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale.

Forze in campo

Algeria

L’Algeria, avendo combattuto una lunga e sanguinosa battaglia per la propria indipendenza e con una lunga tradizione di sostegno ai movimenti di liberazione e al principio di autodeterminazione in tutta l’Africa postcoloniale, per convinzione ideologica e ragioni di sicurezza nazionale rimase il principale alleato dei saharawi e della RASD, sostenuta dall’inizio anche — seppure poi con improvvisi voltafaccia — dalla Libia di Gheddafi. L’Algeria fornì al Polisario armi, comunicazioni e i campi a Tindouf, nel sud-ovest del paese, che continuano ad ospitare oltre 200 mila rifugiati, fuggiti dagli attacchi e bombardamenti delle forze di occupazione marocchine.

Per non provocare il coinvolgimento diretto dell’Algeria nel conflitto, le forze militari marocchine non attaccarono mai i campi profughi di Tindouf e ::la battaglia di Amgala nel 1976 rimase l’unico episodio che vide il coinvolgimento diretto di truppe algerine sul suolo del Sahara occidentale e morti da entrambe le parti::.

Il Marocco, dal canto suo, ha perseverato ininterrottamente nella politica di annessione del Sahara occidentale. Liberato il campo da potenziali dispute con Spagna e Mauritania, il Marocco accrebbe la presenza militare sul territorio, favorendo una politica di insediamento e colonizzazione dei civili, con incentivi economici ai cittadini marocchini interessati a trasferirsi nelle zone occupate del Sahara occidentale e liberate dalla presenza dei saharawi rifugiatisi in Algeria, con l’obiettivo di farne la maggioranza della popolazione e rendere irrilevante il censimento del 1974.

Nel 1974, la Banca Mondiale definì il Sahara occidentale come il territorio più ricco della regione del Maghreb in virtù delle sue risorse di pesca e degli enormi depositi di fosfati, oltre che per riserve potenzialmente grandi di petrolio. La rilevanza strategica in termini economici ha certamente a che fare con la netta contrarietà del Marocco all’autodeterminazione del popolo saharawi; e, col tempo guadagnato e le politiche adottate, gli equilibri demografici nell’area sono cambiati. Le politiche di dissuasione violenta adottate dalle forze militari marocchine, distruggendo imbarcazioni e requisendo pesce con l’accusa di pesca illegale a pescatori saharawi sulla costa, e l’interesse a sostenere la pesca marocchina furono parte di questa strategia.

Ma il Marocco non è rimasto solo in questa contesa. Come dimostrano alcune votazioni alle Nazioni Unite — come per esempio quella per l’approvazione, nell’ottobre 2003, da parte della Quarta Commissione di un progetto di risoluzione in cui l’Assemblea generale riaffermava il diritto inalienabile dei popoli dei territori non autogovernati all’autodeterminazione — le grandi potenze occidentali (principalmente gli Stati Uniti e la Francia) e Israele si schierarono per un soluzione consensuale per salvare gli interessi marocchini nel Sahara occidentale, volendo evitare una sconfitta del Marocco e salvaguardare almeno i suoi interessi economici se non la sovranità. Nel caso del progetto di risoluzione del 2003, che riaffermava il principio di autodeterminazione come unica via nel processo di decolonizzazione, si registrarono 135 voti favorevoli, due contrari (Israele e Stati Uniti) e due astensioni (Francia e Regno Unito).

I legami del Marocco con Francia e Spagna hanno radici storiche, sono legami di prossimità geografica e le contese con la Spagna si sono concentrate solo su Ceuta e Melilla. Non sorprende, quindi, che Francia e Spagna siano i principali partner commerciali del Marocco e i Paesi più presenti con proprie aziende che investono, sulla base di accordi col paese africano, nel Sahara occidentale per lo sfruttamento delle risorse minerarie e della pesca nei territori saharawi occupati. Le comunità di origine marocchina in Spagna e Francia generano importanti rimesse e flussi di turismo verso il paese d’origine.

Unione Europea

L’UE, invece, non ha mai fatto sentire la propria voce in modo perentorio e univoco sulla questione del Sahara occidentale, avendo per altro al suo interno posizioni molto diverse in merito, come quelle pro Marocco della Francia e quelle contrarie a ogni annessione marocchina della Svezia. Colpisce, comunque, il ruolo di secondo piano dell’UE in questa questione, perché in contrasto con i tentativi di contribuire alla risoluzione di altri conflitti prolungati nelle aree di prossimità.

Contemporaneamente, se da un lato l’Unione non ha fatto mancare aiuti umanitari ai rifugiati nei campi profughi saharawi, dall’altro non ha mai rinunciato a sfruttare le opportunità economiche offerte dal partenariato con il Marocco: oltre la metà dell’interscambio commerciale e degli investimenti esteri del Marocco sono marcati UE25 ed il Marocco è stato il primo Paese ad avviare i negoziati con l’UE per la Zona di libero scambio approfondito e globale (Deep and Comprehensive Free Trade Agreement, DCFTA), oltre ad aver stipulato una convenzione di pesca nel 200626, molto contestata dal Polisario e criticata dal Parlamento Europeo, che comprendeva le acque territoriali del Sahara occidentale, riconoscendo così indirettamente e illegalmente la sovranità marocchina sui territori occupati.

Con i conflitti e l’instabilità in Africa del Nord, l’UE ha, col tempo, fatto affidamento crescente sul Marocco per il controllo delle migrazioni irregolari, rafforzando il partenariato che ha basi solide nella Politica europea di vicinato.

Stati Uniti

L’alleanza di Rabat con gli Stati Uniti è, invece, storica, principalmente politica e militare, dimostrata dal riconoscimento statunitense della sovranità marocchina sul Sahara occidentale (dicembre 2020) e si è rafforzata con la lotta al terrorismo islamico dopo il 2001, tanto che oggi il Marocco è uno dei 17 Stati designati con la qualifica di principale alleato non NATO (Major Non-NATO Ally, MNNA).

Stati Uniti e Francia, con le loro forniture di attrezzature elettroniche e mine, hanno reso possibile al Marocco di erigere il muro di difesa di sabbia e pietra lungo 2.250 km, protetto da campi minati e sistemi elettronici.

Russia

Diversamente dagli Stati Uniti, più apertamente schierati a fianco del Marocco, la Russia è stata storicamente abbastanza neutrale sulla questione del Sahara occidentale, avendo interessi su entrambi i lati della disputa. Ciò è in parte sorprendente perché l’Unione Sovietica mirò sempre a presentarsi come un riferimento naturale per i movimenti di liberazione nazionale coinvolti nei conflitti con le ex potenze coloniali, fornendo assistenza materiale e militare a molti movimenti indipendentisti africani (come in Angola e Mozambico). Ciò non avvenne nel caso del conflitto tra Marocco e Polisario, perché sin dall’inizio, con Brežnev, la strategia fu di non alimentare un confronto tra Marocco e Algeria e di non inasprire le contrapposizioni, dopo aver appoggiato il ruolo del Marocco nell’accelerare l’uscita della Spagna dalla regione. Negli anni, tuttavia, Mosca ha sempre sostenuto, insieme all’Algeria, il ruolo centrale dell’UA.

Africa

In Africa, come detto, l’OUA prima e l’UA poi hanno sostenuto le rivendicazioni del Polisario, ammettendo nel 1982 la RASD come membro dell’organizzazione perché la maggioranza degli Stati africani la riconosceva come Stato sovrano indipendente. Successivamente l’UA ha sempre affiancato l’azione promossa dall’Assemblea Generale dell’ONU nella richiesta del referendum per risolvere la situazione perdurante di territorio non autonomo e senza amministrazione, occupato. Nel 2015 il parere dell’Ufficio legale dell’UA venne espresso senza equivoci, condannando la presenza marocchina come occupazione militare illegale e definendo tutte le attività economiche svolte dal Marocco o da terzi come violazioni del diritto internazionale, in conformità alla Carta africana dei diritti dell’uomo che indica che ogni popolo ha un diritto assoluto all’autodeterminazione.

Nel 2017, trentatré anni dopo la sua uscita dall’OUA, il Marocco fu riammesso come 55° membro dell’UA, pur in presenza di una resistenza da parte di alcuni importanti membri dell’organizzazione, in particolare Algeria e Sudafrica, a causa della sua condotta nel Sahara occidentale. Da diversi Stati africani, ma anche da alcuni rappresentanti del Polisario, questo è stato visto come un tentativo di accreditamento del Marocco per non restare isolato (soprattutto nel processo di integrazione economica continentale) e non lasciare libero campo al Polisario nella tutela dei propri interessi, insieme all’Algeria, in seno all’organizzazione, cercando di indebolire dall’interno il fronte pro-Polisario; ma all’opposto alcune voci ottimistiche vi hanno visto un’opportunità per costringere il Marocco ad accettare l’impostazione dell’UA a sostegno dell’autodeterminazione del popolo saharawi.

Cina

Infine, la Cina, global player protagonista in Africa, ha sempre preferito tenere un profilo basso, non sovraesponendosi sulla questione del Sahara occidentale, adottando una linea di realpolitik in parte simile a quella russa, basata sulla non interferenza nelle questioni interne africane (questa è la ragione per cui la Cina decise per molti anni di non partecipare a missioni di peace-keeping dell’ONU); e, come gli Stati Uniti e l’UE, non ha perso l’occasione per rafforzare negli anni i legami economico-commerciali con il Marocco, fino a diventare il terzo Paese da cui il Marocco importa beni e servizi. Proprio l’approccio continentale della Cina verso l’Africa ha fatto emergere, negli anni più recenti, il rischio di marginalizzazione del Polisario e delle rivendicazioni della RASD, perché il governo cinese ha ripetutamente deciso, nonostante le pressioni esercitate soprattutto da Algeria e Sudafrica, di escludere il Polisario dalla partecipazione ai vertici tra Cina e Africa — da ultimo, in occasione del vertice Cina-Africa tenutosi a Johannesburg nel 2015, poi in quello a Pechino nel 2018 e infine nel vertice straordinario Cina-Africa del 2020 tenutosi a giugno in videoconferenza — non riconoscendo legittimità internazionale alla RASD e, di fatto, facendo segnare un punto a favore dell’integrità territoriale del Marocco.

La ripresa della guerra?

Il 13 novembre 2020 il cessate il fuoco del 1991, sostanzialmente rispettato per 30 anni, è stato rotto. L’esercito marocchino ha condotto un’operazione nella zona cuscinetto del posto di frontiera di El Guerguerat, all’estremo sud, per ripristinare il traffico stradale interrotto da un blocco imposto da fine ottobre da manifestanti saharawi. La strada asfaltata presa di mira era quella che portava in Mauritania, utilizzata soprattutto per il commercio, considerata dai saharawi una costruzione illegale nella zona cuscinetto.

Brahim Ghali, presidente della RASD, ha scritto al Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, e alla presidenza di turno del Consiglio di sicurezza, criticando l’aggressione delle forze militari marocchine contro civili saharawi che manifestavano pacificamente. Il re del Marocco, Mohammed VI, ha scritto anch’egli al Segretario generale dell’ONU, definendo un “diritto legittimo” la reazione alle provocazioni intollerabili del Polisario. Il Polisario ha minacciato di ritirarsi dall’accordo di cessate il fuoco, ricordando che il rispetto del referendum sull’autodeterminazione rimaneva l’unico patto e accordo firmato tra le parti, sotto la doppia supervisione dell’ONU e dell’UA, costantemente violato dal Marocco. Le truppe marocchine, nel frattempo, sono rimaste da allora schierate nella zona demilitarizzata sotto il controllo della forza d’interposizione dell’ONU, al fine di assicurare il traffico stradale su questa via commerciale. Sembravano le premesse di uno stato di guerra.

L’11 dicembre 2020 il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha proclamato di riconoscere ufficialmente la sovranità del Marocco sui territori contesi.

Per il Polisario e la popolazione saharawi, la decisione degli Stati Uniti indebolisce ulteriormente una condizione militare e politica in sé sbilanciata e che già appariva indebolita negli ultimi anni. La via del negoziato è in salita. L’alleato storico dei saharawi, l’Algeria, nel bel mezzo di una grave crisi interna sia politica che economica, sembra segnare un più tiepido sostegno al Polisario (che, in generale, non ha tratto giovamento dai nuovi assetti geopolitici post-bipolari: la RASD era arrivata ad essere riconosciuta da 79 Paesi nel 1990, oggi solo da una trentina): le reazioni algerine all’azione marocchina di novembre e alla dichiarazione di Trump sono sembrate meno accese che in passato.

Per l’UE, la decisione unilaterale di Trump non aiuta e si fa più difficile la strada di un rafforzamento del sostegno alle rivendicazioni saharawi, laddove la propensione recente a consolidare i legami con il Marocco e a riservare ai saharawi soprattutto assistenza umanitaria si vede ora scavalcata in termini di realpolitik da parte statunitense. La Francia si è limitata a chiedere che si faccia di tutto per evitare un’escalation.

L’UA, ma anche l’ONU, subiscono il colpo di una indiretta dichiarazione di inadeguatezza di queste istituzioni sovranazionali a guidare i processi di risoluzione delle controversie. Un colpo che decreta, di fatto, il fallimento del processo di pace sotto la responsabilità dell’ONU, del Consiglio di sicurezza e dei suoi membri permanenti.

Il 23 gennaio 2021 i combattenti indipendentisti del Fronte Polisario hanno bombardato la zona cuscinetto di El Guerguerat nel Sahara occidentale, a 11 km. dal confine con la Mauritania e 5 km. dall’Oceano Atlantico. È molto difficile considerarla l’inizio di un’azione militare, per lo squilibrio delle forze in campo e la propensione a soluzioni pacifiche sin qui dimostrata dal popolo saharawi, ma certo è che si tratta di un modo per ricordare a tutta la comunità internazionale che la soluzione del conflitto ancora non c’è e che occorre trovarla, come nella tradizione delle scelte dei saharawi, sul tavolo negoziale dell’ONU e dell’UA per dare una risposta a un Territorio Non Autogestito ancora da decolonizzare.

A questo punto, una guerra non conviene a nessuno: non al Marocco né al popolo saharawi, al processo di integrazione regionale o alle potenze mondiali.

Il quadro è molto incerto, soprattutto per il popolo saharawi, che ha sopportato in condizioni molto difficili decenni di promesse non mantenute e di prevaricazioni e che ora si trova a fronteggiare una situazione ancor più drammatica nei campi per i rifugiati a causa della pandemia di Covid-19, delle maggiori difficoltà di erogazioni di aiuti umanitari e di una maggiore debolezza dell’alleato algerino.

Il Marocco ha più volte ipotizzato che tra la popolazione saharawi potessero crescere movimenti jihadisti; di questo fortunatamente non c’è traccia per ora, mentre cadono nel silenzio generale, da anni, i periodici rapporti e documenti di organizzazioni come UNHCR, Human Rights Watch e Amnesty International sulla insostenibile condizione del popolo saharawi.

Oggi

Il movimento indipendentista del Polisario ha annunciato il 10 aprile 2022 una “interruzione” dei contatti con il governo spagnolo per protestare contro la svolta adottata da Madrid nel territorio conteso del Sahara occidentale.

“Il Fronte Polisario ha deciso di interrompere i contatti con l’attuale governo spagnolo” per la sua “strumentalizzazione della questione del Sahara occidentale in vergognose trattative con l’occupante (marocchino)”, scrive il movimento in una nota.

In una lettera inviata dal premier Pedro Sánchez al re del Marocco Mohamed VI, Madrid pose fine alla tradizionale neutralità nel conflitto nella regione, appoggiando la soluzione proposta dal Marocco nel 2007 all’Onu di concedere un’autonomia limitata al Sahara occidentale — escludendo un referendum di autodeterminazione del popolo saharawi.

La rottura durerà fino a quando Madrid “si conformerà alle decisioni di legalità internazionale, che riconoscono il diritto del popolo sahrawi all’autodeterminazione, e al rispetto dei confini del proprio Paese, come riconosciuto a livello internazionale”. La Spagna il 18 marzo ha dichiarato di aver accettato di riconoscere pubblicamente il piano di autonomia di Rabat per il territorio, ponendo fine a una posizione di neutralità decennale.

La “capitolazione”, 10 mesi dopo l’invasione di 10mila migranti nell’enclave di Ceuta. La ritorsione per l’accoglienza in Spagna del leader del Polisario, Brahim Gali, colpito dal Covid-19. In realtà, l’inasprimento del braccio di ferro di Rabat per forzare Madrid a sostenere i suoi obiettivi, proseguito con l’estensione della zona economica esclusiva del Marocco fino alle acque delle Canarie, i flussi migratori record verso l’arcipelago, e i recenti massicci assalti alla frontiera di Melilla.

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Diego Remaggi

Nato in una città chiamata La Pace, abituato a vivere in un mondo di guerra. Scrivo di giornalismo e geopolitica. Email: diego.remaggi@pm.me